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Il sito del Jazz - Gli stili del jazz


Intorno al 1890 - Ragtime

È vero che New Orleans è stata la città più importante per la nascita del jazz, ma non è vero che sia stata l'unica. Il jazz, come musica di un continente, di un secolo e oltre, di una civiltà, era troppo nell'aria per poter essere il prodotto brevettato di una singola città. Indipendentemente da New Orleans analoghi modi di suonare sorsero in altre città, tra cui Memphis e Kansas City, Dallas e St. Louis e molte altre grandi città nordamericane del Sud e del Midwest. Anche questo in fondo è sempre stato la caratteristica di uno stile autentico, il fatto cioè che persone diverse in luoghi diversi arrivino ad analoghi risultati artistici, indipendentemente le une dalle altre.
Lo stile di New Orleans è stato definito il primo stile della musica jazz, ma prima che nascesse lo stile di New Orleans esisteva il ragtime. La capitale del rag non era New Orleans, ma Sedalia nel Missouri. La sua importanza deriva dal fatto che vi si stabilì Scott Joplin - nato nel Texas nel 1868 -, ovvero il principale compositore e pianista di ragtime... e con ciò è detto l'essenziale sul rag: è musica per pianoforte, frutto di composizione. Poiché è "composto", gli manca una caratteristica determinante del jazz: l'improvvisazione, ma in quanto ha swing ci si è abituati a considerarlo jazz. Inoltre molto presto si cominciò non solo a interpretare rag composti, ma anche ad utilizzare melodie di ragtime come temi per improvvisazioni jazzistiche.

Nel ragtime si trova tutto quello che era allora importante dalla musica classica fino alla marcia e alla polca - ma tutto nella concezione ritmica e nel modo di suonare dei neri.

1900 - New Orleans

Intorno al 1900 New Orleans era un crogiolo di popoli e di razze. La città era stata sotto il dominio spagnolo e francese, prima di diventare parte Stati Uniti. Francesi e spagnoli, poi inglesi e italiani, infine tedeschi e slavi si trovarono di fronte ai discendenti degli innumerevoli schiavi neri importati dall'Africa. E anche tra questi ultimi c'erano differenze nazionali e linguistiche che non erano meno grandi di quelle che correvano tra i bianchi di origine spagnola e quelli di origine inglese.
Tutti gli immigrati amavano anzitutto la propria musica; amavano ciò che essi volevano mantenere in vita come suoni della loro patria. Si cantavano canzoni popolari inglesi, si ballavano danze spagnole, si suonava la musica popolare e di balletto francese, si marciava al suono delle bande militari che si rifacevano, in tutto il mondo, al modello prussiano, si sentivano uscire dalle chiese note di inni e di corali di diverse religioni; e a tutti questi suoni si mescolavano gli shouts - le grida dei neri simili a un canto - le loro danze e i loro ritmi. Fino agli anni Ottanta essi si radunavano regolarmente in Congo Square a New Orleans per celebrare i loro riti voodoo, un culto che si ricollegava ad antiche tradizioni africane. E cantavano il nuovo dio cristiano in modo non molto diverso da come avevano un tempo cantato gli spiriti buoni o malefici della loro patria africana.
Che New Orleans sia la città natale del jazz è certamente un mito, ma è altrettanto vero che fu un centro di cristallizzazione. La musica che i lavoratori neri suonavano nelle campagne, i work song cantati durante il lavoro, gli spiritual che risuonavano durante le funzioni religiose tenutesi all'aria aperta, i "primitivi" e antichi blues popolari... tutto ciò si rifletté nelle forme originarie del jazz.

1910 - Dixieland

Suonare il jazz a New Orleans non era un privilegio esclusivo dei neri, infatti già dall'inizio ci sono state anche band bianche. Sin dal 1891 Papa Jack Laine, considerato il "padre del jazz bianco", aveva le sue band a New Orleans. Le sue band percorrevano le strade di New Orleans su carri - i cosiddetti band-waggons - o a piedi, e quando due band si incontravano per la strada, si arrivava immancabilmente a una battle, una gara. Accadeva spesso che le band nere suonassero contro quelle bianche, e se Papa Laine era il capo della band bianca, molto spesso la band "avversaria" ne usciva sconfitta.
I bianchi svilupparono ben presto un particolare modo di suonare il jazz di New Orleans: meno espressivo, ma tecnicamente più perfezionato: le melodie erano più lineari, le armonie più "pulite", l'emissione del suono meno spontanea, i suoni legati, i vibrati espressivi, i glissando passavano in seconda linea, e quando tutto ciò veniva impiegato, acquistava sempre un po' il sapore della consapevolezza di chi suona in questo modo ma sa che potrebbe suonare in un altro. Nelle band nere al contrario traspariva sempre il fatto che le cose potevano essere solo così e non diversamente, sia che suonassero con esuberante gioia di vivere o che evocassero la grave atmosfera di un blues.
Le prima orchestre di jazz bianche che riscossero molti successi derivano tutte da Papa Jack Laine; e indubbiamente furono le orchestre bianche a portare il jazz ai suoi primi successi: soprattutto la Original Dixieland Jazz Band e i New Orleans Rhythm Kings. La ODJB - come venne abbreviata - con il suo avvincente modo collettivo di improvvisazione in cui non vi erano quasi più assoli, ha portato alla notorietà molti dei primi successi jazz, come ad esempio il "Tiger Rag".

Ci si è abituati a definire il modo dei bianchi di suonare jazz come Dixieland jazz, per distinguerlo dal vero New Orleans jazz, ma questa distinzione deve essere presa con un certa elasticità in quanto, soprattutto negli anni successivi, musicisti neri suonavano nelle band bianche e viceversa, quindi non era più possibile riconoscere se una band suonasse Dixieland jazz o New Orleans jazz.

1920 - Chicago

Certamente il ragtime e lo stile di New Orleans erano particolarmente vivi all'inizio del XX secolo, ma entrambi questi stili vennero suonati anche in seguito. D'altro canto ciò che è importante sapere non è per quanto si rimane fedeli a uno stile, ma quando è nato e quando ha raggiunto la sua massima vitalità e incisività musicale, e, da questo punto di vista, effettivamente ogni dieci anni - e quasi sempre all'inizio di un decennio - è nato un nuovo stile.
Le caratteristiche essenziali degli anni Venti erano tre: il grande momento dei musicisti di New Orleans a Chicago, il blues "classico" e lo stile di Chicago. Lo sviluppo del New Orleans jazz a Chicago viene generalmente collegato all'entrata nella Prima guerra mondiale degli Stati Uniti, anche se questo collegamento sembra un po' incerto. Durante la Prima guerra mondiale infatti New Orleans divenne un porto militare e il comandante della marina militare di New Orleans vide nei piaceri di Storyville un "pericolo per il morale delle sue truppe", perciò Storyville venne chiuso. Questo decreto gettò sul lastrico non solo le signore di Storyville, ma anche le centinaia di musicisti che suonavano in quei locali, quindi molti lasciarono la città, la maggior parte di questi trasferendosi a Chicago. Ebbe così inizio la grande migrazione di musicisti da New Orleans a Chicago. Accadde così che il primo stile del jazz si chiamò stile di New Orleans, anche se in realtà visse il suo momento più intenso nella Chicago degli anni Venti. Lì, e non a New Orleans, vennero infatti incisi i famosi dischi per il grammofono, che dopo la Prima guerra mondiale divenne sempre più popolare.
Fu King Oliver a dirigere la più importante New Orleans band a Chicago. È lì che Louis Armstrong costituì i suoi Hot Five e i suoi Hot Seven, e che nacquero molti importanti gruppi. Ciò che oggi viene considerato lo stile di New Orleans non è il jazz arcaico, di cui non esistono quasi incisioni su disco e che veniva suonato nei primi due decenni del Novecento a New Orleans, ma la musica che i musicisti provenienti da New Orleans suonavano negli anni Venti a Chicago.

1930 - Swing

I precedenti stili di jazz vengono raggruppati sotto il nome di Two Beat Jazz. La parola beat significa battito, baricentro ritmico. La battuta del Two Beat Jazz consiste dunque di due baricentri ritmici. Verso la fine degli anni Venti gli stili Two Beat della musica jazz sembravano esauriti. Ad Harlem e soprattutto a Kansas City verso il 1928-29 si stava già delineando un nuovo modo di suonare, e laddove questo modo di suonare confluì con la musica dei rappresentanti dello stile di Chicago e di New Orleans, i quali in quel periodo cominciavano la seconda grande migrazione della storia del jazz, da Chicago a New York, nacque lo Swing. Diversamente dal Two Beat Jazz lo si può definire Four Beat Jazz perché qui il tempo in quattro viene scandito uniformemente dall'inizio alla fine. In linea di massima questo è corretto, ma - come accade molto spesso nel jazz - ci sono sconcertanti eccezioni. Per esempio Louis Armstrong, e come lui molti musicisti dello stile di Chicago, conosceva già ai tempi del Two Beat Jazz i tempi regolari a quattro tempi. La parola "swing" è la parola chiave della musica jazz. Essa viene impiegata in due accezioni diverse, cosa che costituisce una possibilità di creare malintesi. In primo luogo viene usata per indicare un elemento ritmico, presente in tutti gli stili, in tutte le fasi e in tutti i modi di suonare jazz, che conferisce al jazz grande tensione, e che è tanto indispensabile al jazz che si è arrivati ad affermare: "Senza swing il jazz non esiste".
In secondo luogo la parola swing sta a indicare lo stile jazzistico degli anni Trenta, cioè quello stile con cui il jazz ha raggiunto i massimi successi commerciali. Benny Goodman fu definito "King of Swing".
Per evitare confusioni, scriveremo l'elemento swing che deve avere ogni tipo di jazz con l'iniziale minuscola, mentre lo stile Swing con l'iniziale maiuscola. Esiste una sostanziale differenza fra un brano di jazz che "ha" swing e uno che "è" Swing: ogni brano jazz che "è" Swing ha anche swing, ma ogni pezzo di jazz che ha swing non necessariamente deve essere uno Swing.

1940 - Bebop

Sul finire degli anni Trenta lo Swing era diventato un affare gigantesco. Era stato definito il "più grande business musicale di tutti i tempi" (il che era vero per allora, ma se paragoniamo quei record alle dimensioni gigantesche che il music business ha raggiunto ora...). La parola "Swing" divenne l'etichetta di successo per merci di ogni genere che si volevano vendere bene, tra cui sigarette e indumenti femminili. La musica che doveva soddisfare le esigenze commerciali si irrigidiva spesso in cliché sentiti migliaia di volte e continuamente ripetuti. Come accade spesso nella musica jazz, quando uno stile o un modo di suonare diventano troppo commercializzati, il pendolo dell'evoluzione si sposta nella direzione opposta. Un gruppo di musicisti che aveva qualcosa di nuovo da dire si riunì allontanandosi, in modo non del tutto consapevole, dalla musica di successo, cioè dalla moda dello Swing.
La novità prese forma a Kansas City e poi nei luoghi di incontro dei musicisti di Harlem, specialmente da Minton's, e anche questa volta all'inizio del decennio. Non nacque, come è stato detto, perché si era riunito un gruppo di musicisti per inventare a tutti i costi qualche cosa di nuovo, perché il vecchio non andava più. Il vecchio infatti andava molto bene; lo stile Swing era "il più grande business musicale di tutti i tempi". Non si deve nemmeno pensare che il nuovo stile jazzistico fosse stato "costruito" intenzionalemnte da un gruppo omogeneo di musicisti. Il bebop nacque nelle teste e sugli strumenti dei più disparati musicisti che stavano in luoghi diversi, indipendentemente gli uni dagli altri, ma il Minton's divenne il punto di cristallizzazione, così come lo era stato prima New Orleans. E come allora era stata assurda la pretesa di Roll Morton di aver "inventato" il jazz, ora sarebbe stata altrettanto assurda la pretesa di un musicista qualsiasi di aver "inventato" il jazz moderno.
Il nuovo stile jazzistico venne chiamato bebop, una parola in cui onomatopeicamente si riflette l'intervallo allora più in auge: la quinta diminuita discendente. La parola "bebop" nacque spontaneamente quando si vollero cantare questi intervalli; un po' come le parole "la-la-la" vengono spontaneamente quando si canta una canzone di cui non si ricordano le parole. Certamente non bisogna dimenticare che in ultima analisi tutte le spiegazioni della parola "bebop" sono rimaste discutibili, esattamente quanto quelle della maggior parte degli altri termini jazzistici. Nel gergo della gioventù americana "bebop" o "bop" significava rissa o coltellate.

1950 - Cool jazz, hard bop

Verso la fine degli anni Quaranta l'inquietudine e l'eccitazione nervosa del bebop vennero sostituite da un sempre maggiore distacco ed equilibrio. La cosa si manifestò per la prima volta nelle esecuzioni di Miles Davis che, appena diciottenne, nel 1945 suonava nel quintetto di Charlie Parker alla maniera nervosa del primo Dizzy Gillespie, ma che poco dopo cominciò a suonare in modo equilibrato e "freddo"; inoltre il fenomeno si manifestò anche nelle improvvisazioni al pianoforte di John Lewis, uno studente del New Mexico, che nel 1948 andò insieme alla grande orchestra di Dizzy Gillespie a Parigi e che solo là prese la decisione definitiva di fare il musicista; in fine si poté notare il fenomeno negli arrangiamenti che Tadd Dameron, nella seconda metà degli anni Quaranta, scrisse per la grande orchestra di Dizzy Gillespie e per diversi complessi minori. Gli assoli di tromba che Miles Davis suonava nel 1947 nel quintetto di Charlie Parker - per esempio "Chasin' the Bird" - o l'assolo al pianoforte di John Lewis nel concerto di Dizzy Gillespie tenuto a Parigi nel 1948 su "Round Midnight" sono i primi assoli di jazz "freddo" nella storia del jazz... se si prescinde dagli assoli di Lester Young il quale, alla fine degli anni Trenta, aveva già abbozzato la cool-conception nell'orchestra di Count Basie, ancor prima dell'avvento del bebop. Dal punto di vista strettamente stilistico, con Miles Davis, John Lewis e Tadd Dameron ha inizio ciò che viene chiamato cool jazz.
La concezione fredda dominò tutto il jazz della prima metà degli anni Cinquanta, ma ciò che colpisce è il fatto che acquisì la sua forma più valida e rappresentativa quasi nel momento stesso della sua nascita: nella famosa orchestra Miles Davis-Capitol che si costituì nel 1948 e che nel 1949 e nel 1950 incise per la casa discografica Capitol.
Lennie Tristano (1919-1978) - un pianista cieco di Chicago che nel 1946 andò a New York dove nel 1951 fondò la sua New School of Music - diede con la sua musica e col suo pensiero, il fondamento teorico al cool jazz. La musica della scuola di Tristano ha contribuito sostanzialmente a creare fra i profani l'immagine del cool jazz come quella di una musica fredda, intellettuale e priva di emozioni anche se non c'è dubbio che Lennie Tristano e i suoi musicisti improvvisavano in modo particolarmente generoso. Per questo motivo Tristano si fece chiamare spesso sui manifesti Lennie Tristano and his intuitive music, in modo da evidenziare il carattere intuitivo della propria concezione del jazz e smentire l'opinione che la sua musica fosse dettata da un calcolo intellettuale. Lo sviluppo del jazz moderno arrivò presto a forme meno astratte, più percettibili e più vitali.
«Il problema» disse Marshall Stearns - critico e musicologo americano - «stava nel fatto di suonare in modo "cool" senza essere freddi».
Tutto il jazz moderno, per quanto si sia allontanato nel frattempo dalla freddezza di Tristano, risente dell'influenza della sua scuola, sia dal punto di vista armonico che soprattutto per una caratteristica predilezione per le lunghe linee melodiche lineari.
Dopo Lennie Tristano il centro musicale si spostò sulla costa occidentale americana.
Vi fu il West Coast jazz che si riallacciò direttamente all'orchestra Miles Davis-Capitol e che venne suonato da tutti quei musicisti che si guadagnavano da vivere suonando nelle grandi orchestre di Hollywood. In questa musica ebbero notevole importanza molti elementi della tradizione musicale europea accademica, per cui spesso l'originalità e la vitalità del jazz passavano in seconda linea.
Per questo motivo gli specialisti continuarono a sostenere che New York era ancora la capitale del jazz. Là, secondo loro, si faceva il jazz vitale e autentico che, sebbene fosse moderno, era ancora legato alla tradizione del jazz. Il West Coast jazz venne contrapposto all'East Coast jazz.
In realtà tanto il West Coast quanto l'East Coast erano più slogan pubblicitari delle case discografiche che concetti stilistici. La vera tensione nell'evoluzione del jazz degli anni Cinquanta non fu una tensione tra costa orientale e costa occidentale, ma una tensione fra una tendenza classicistica da una parte, e un gruppo di giovani musicisti, nella maggior parte dei casi di colore, che suonava un bebop più moderno, il cosiddetto hard bop.

1960 - Free jazz

Le novità del jazz degli anni Sessanta, del free jazz, sono:

1. La penetrazione nello spazio libero dell'atonalità.
2. Una nuova concezione ritmica che è caratterizzata dalla dissoluzione del metro, del beat e della simmetria.
3. L'irruzione della "musica mondiale" nel jazz, che ora si trova improvvisamente messo a confronto con tutte le grandi culture musicali del mondo.
4. Un'accentramento del momento d'intensità del tutto sconosciuta negli stili precedenti del jazz, in quanto il jazz è sempre stato una musica che per la sua intensità era nettamente superiore alle altre forme musicali del mondo occidentale, ma mai nella storia del jazz si era data tanta importanza all'intensità, in alcuni musicisti anche in senso religioso, come nel free jazz.
5. Un'estensione del suono nel campo del rumore, che tuttavia non ha a che fare con la bruttezza, quanto piuttosto con un completo godimento del suono.

All'inizio degli anni Sessanta nella musica jazz è successo quello che gli specialisti si erano aspettati da circa quindici anni e quello che già cinquanta o sessant'anni prima era successo nella musica concertistica (cosa che si era chiaramente preannunciata per esempio nella "Intuition" di Lennie Tristano del 1949 e che era stata preparata da molti musicisti degli anni Cinquanta): la penetrazione nello spazio libero dell'atonalità. È nata una "nuova musica", il "nuovo jazz", che ha un effetto di shock e che, come molte altre novità nel campo dell'arte, inizialmente non può rinunciare all'effetto di shock. Il vigore e l'asprezza del nuovo jazz hanno un effetto tanto più violento in quanto nei quindici anni in cui questa irruzione era già matura anche se veniva evitata con sacro timore, si era accumulato tanto materiale che ora cominciò a travolgere come una valanga il pubblico.
Per la giovane generazione di musicisti che suonano il free jazz, alla fine degli anni Cinquanta e all'inizio degli anni Sessanta, si era esaurita la maggior parte di ciò che aveva da offrire il jazz precedente con i suoi modi di suonare e di procedere, con i suoi andamenti armonici e la sua simmetria metrica. Tutto sembrava svolgersi secondo uno stesso schema, in modo eternamente uguale a se stesso; tutte le possibilità che avevano offerto le forme precedenti e le tonalità convenzionali, sembravano definitivamente sfruttate. Per questa ragione i giovani musicisti hanno cercato nuove forme nel jazz, e con questo il jazz è tornato ciò che era una volta quando il mondo dei bianchi lo scoprì negli anni Venti: una grande avventura pazza, avvincente e incerta. E finalmente si è tornati all'improvvisazione collettiva, con le linee che si intersecano e che si urtano in modo furioso, libero e aspro.


1970

Finora abbiamo potuto contrassegnare ogni decennio con uno stile ben definito; si è certo semplificato, ma a beneficio di una maggiore chiarezza. Con l'inizio degli anni Settanta ciò diventa impossibile in quanto gli anni Settanta sono caratterizzati da almeno sette tendenze:
1. Fusion o jazz rock: le improvvisazioni classiche del jazz sono rapportate e inserite nei ritmi elettronici del rock.
2. Una tendenza alla musica europea da camera, un'estetizzazione del jazz. Un'improvvisa proliferazione di assoli e duetti non accompagnati, spesso senza sezioni ritmiche, cioè senza basso e batteria. Soprattutto si rinuncia a molto di quel che fino allora sembrava un contrassegno irrinunciabile del jazz: forza esplosiva, durezza, enorme tensione espressiva, intensità, estasi, nessun timore del "mostruoso". Il jazz diventa, come scrive un critico americano, beautified, abbellito, estetizzato.
3. La musica della nuova generazione del free jazz: quando all'inizio degli anni Sessanta la musica fusion si impose sulla scena ottenendo un grande e immediato successo commerciale, molti critici scrissero che il jazz era morto. Si erano pronunciati in modo frettoloso. La musica free era solo andata "underground". Nel biennio 1973-74 si ebbe una ripresa del free. Nel corso degli anni Settanta musicisti free jazz si fecero conoscere sempre più, dando maggiore enfasi e un'inquieta tranquillità. In contraddizione solo apparente, il free jazz era da un lato orientato con maggiore consapevolezza verso strutture di composizione e sound a cavallo tra generi diversi, mentre dall'altro si richiamava intenzionalmente alle radice africane della musica nera. Questi musicisti non parlarono più di jazz ma orgogliosamente di "Great Black Music".
4. Un sorprendente ritorno in auge dello Swing. Tutt'a un tratto si è affacciata alla ribalta un'intera generazione di giovani musicisti che solo apparentemente suonavano rock o fusion; in realtà la loro musica ricordava i grandi maestri dell'era dello Swing.
5. Un'ancora più sorprendente e più ampia ripresa del bebop.
È questa, nella storia del jazz, la terza ondata di bebop - dopo quello vero e proprio nato negli anni Quaranta, e l'hard bop della seconda metà degli anni Cinquanta. E come l'hard bop aveva elaborato le esperienze del cool jazz, allo stesso modo il nuovo bebop fece suo tutto quanto era stato nel frattempo realizzato. Soprattutto due artisti sembravano predominare in questo nuovo stile: Charles Mingus e John Coltrane. Ma altri musicisti elaborarono, nel loro modo di fare bebop, le esperienze del free jazz, creando così un tipo di "free bop".
6. Il jazz europeo trovò se stesso grazie al free jazz degli anni Settanta. La novità era che la musica europea si spinse oltre la sfera circoscritta del free jazz per abbracciare anche la musica tonale. Se i musicisti afroamericani si rifecero alle loro radici africane, gli strumentisti europei sempre più spesso iniziavano a rispecchiarsi nelle proprie.
Alcuni di loro ricercarono un'identità tramite il contatto con la tradizione della musica concertistica europea, mentre nell'ambito del free jazz, alla moderna musica da concerto, mentre altri trovarono le proprie radici e motivazioni nel folklore europeo, e altri ancora nel folklore mondiale e nelle grandi culture musicali non europee.
7. La graduale formazione di un nuovo tipo di musicista che si muove tra jazz e world music, trascendendo e integrando entrambi gli approcci.

Fra tutte queste tendenze numerose sono le sovrapposizioni e i collegamenti. Quei modi di suonare sono collegati fra loro anche perché sono sorti da un confluire di free jazz, tonalità e struttura tradizionali, elementi convenzionali del jazz, musica da concerto europea ed elementi di culture musicali esotiche, specialmente da quella indiana, blues e rock. Gli elementi non sono più percepibili l'uno accanto all'altro - come in precedenti fusioni - perdono il loro carattere esemplare, non sono che musica.

I musicisti interessati lo sapevano sin dall'inizio e si sono espressi in proposito, ma agli inizi degli anni Settanta se ne rendevano conto anche i meno esperti che la libertà del free jazz non significava arbitrarietà e caos.
Perché nel free jazz ci si sia battuti per suonare liberamente? Non per permettere a chiunque di fare ciò che vuole, ma per poter disporre di quanto è stato liberato dal suo automatismo repressivo.


1980

Non esiste uno stile unico che possa rappresentare il jazz degli anni Ottanta. Da un lato il jazz di questo periodo fu caratterizzato da una continua frammentazione e un costante superamento dei limiti stilistici: annullando così ogni categorizzazione, il jazz degli anni Ottanta divenne espressione di versatilità. Mai prima di allora - nemmeno negli anni Settanta quando erano già evidenti i primi segni di questa evoluzione.
Dall'altro lato, questo suo varcare le frontiere stilistiche diventò una componente del jazz degli anni Ottanta al punto di trasformare la libertà da ogni stile circoscritto nello "stile" del decennio. Nella consapevolezza della propria abbondanza e varietà, lungi dall'essere uno stile vero e proprio, altro non era che un'apertura mentale verso ogni tipo di esecuzione. Il jazz divenne postmoderno, e questo andamento continua ancora oggi.
Fino agli anni Sessanta l'evoluzione del jazz seguì un nitido percorso progressivo. Lo stile del momento, quello che si era sviluppato più di recente, non solo era considerato il più attuale ma anche il più pertinente rispetto a quello che lo aveva preceduto. Il jazz degli anni Ottanta abbandonò questa prospettiva: secondo il jazz postmoderno nessuno stile riesce a spiegare il mondo da solo, nessuno è migliore degli altri e ogni stile è accettabile dal punto di vista musicale. I musicisti applicarono subito quanto detto sullo stile in generale a ogni tipo di espressione, non solo nel jazz, poiché tutte possono essere utilizzate, mescolate e amalgamate tra di loro.


1990

All'inizio degli anni Novanta il ventaglio stilistico del jazz aveva raggiunto un'ampiezza incalcolabile. Grazie alla propria vocazione di congiungere stili e generi, il jazz aveva fatto sì che con contaminazioni fosse all'ordine del giorno. Allo stesso tempo, i confini tra il jazz e altri tipi di musica erano diventati estremamente labili.

Ciò fu affrontata con forza da un gruppo di musicisti che, con il favore di alcuni critici, si unirono sotto un unico grido di battaglia: "We need a canon", "Abbiamo bisogno di un canone". Il primo a lanciare questo grido, e a darne la formulazione più affilata e radicale, oltre alla più energica enfasi musicale, fu Wynton Marsalis. Il trombettista, compositore e bandleader voleva restituire al jazz quello che (pur sempre a suo modo di vedere) sembrava aver perduto dopo trent'anni di free jazz, vent'anni di jazz rock e dieci anni di jazz postmoderno e i suoi vari stili: impegno, classicismo e regole salde.
A prescindere che il canone di Marsalis fosse condivisibile o meno, divenne vincolante per un'intera generazione di musicisti dell'epoca, i "giovani leoni".


Panoramica: il jazz nell'era delle migrazioni

Il jazz è la colonna sonora della migrazione, lo è stato fin dall'inizio. Senza i grandi flussi del XIX secolo il punto d'intreccio culturale di New Orleans non sarebbe mai esistito, e gli incontri di nazionalità e culture che diedero vita al jazz non sarebbero mai stati possibili. L'eredità del jazz - libertà di parola musicale - è in fondo una reazione alla violenza di una migrazione imposta con la forza: lo sradicamento e la schiavizzazione di milioni di africani, trasportati al di là dell'Atlantico contro la loro volontà, in una diaspora nera.
Il jazz è, nel suo significato più vero, world music: un ibrido. Per questo motivo ha contribuito, forse più di qualsiasi musica occidentale, all'interazione continua e all'influsso reciproco delle forme culturali. Un sempre maggiore numero di musicisti da Africa, Asia e America Latina stanno lasciando la propria impronta creativa su una scena jazz in rapida globalizzazione. In questo modo, lo sviluppo di nuovi linguaggi musicali tra le culture ha creato nuovi cambiamenti qualitativi nel jazz.
Quando, negli anni Settanta, Don Cherry (trombettista statunitense) e Collin Walcott (musicista e compositore statunitense) parlarono di attraversare le frontiere tra le culture, realizzando per primi questo sogno in musica, furono considerati degli utopisti e vennero derisi dalla critica. Oggi invece il concetto di world music, e quello di musica improvvisata che si muove tra culture, è diventato una realtà all'ordine del giorno.

Più di qualsiasi altra musica occidentale, il jazz sta diventando una specie di molla nell'invenzione di una nuova musica tra più culture. Il compositore e chitarrista Steve Marthland ha affermato:

«La musica del futuro sarà una miscela ibrida e colorita, uno standard creato soprattutto da richiedenti asilo, rifugiati e migranti. Non hanno né soldi né mezzi di produzione, ma hanno un'idea che forgerà il suono del futuro.»